Prima regola: una strategia per investire. Chi si affaccia per la prima volta sul mercato azionario, o comunque non ha già accumulato una certa esperienza, subito dopo i primi acquisti sarà inevitabilmente assalito da dubbi e ripensamenti. Questo comportamento è esattamente sbagliato. Il primo errore da evitare è proprio quello di lasciarsi influenzare troppo nelle decisione d’investimento e disinvestimento degli alti e bassi momentanei delle quotazioni. Vediamo in proposito alcune cifre interessanti sull’andamento dei mercati finanziari nel 1993, le società quotate al 31 dicembre erano 221, di cui 13 sospese dalla CONSOB per vari motivi; i titoli quotati-azioni ordinarie, privilegiate e di risparmio, e obbligazioni erano 331, di cui 19 sospesi. Il miglior punto di partenza, per un investitore non esperto, consiste nell’elaborare un piano d’investimento e poi attenersi scrupolosamente a quanto stabilito. Naturalmente si possono elaborare piani d’investimento più o meno complessi; i primi però richiedono quasi sempre l’ausilio di un computer, oltre a una conoscenza approfondita dei meccanismi di Borsa.
Seconda regola: fare un piano d’investimento. La seconda regola del buon investitore è una delle più difficili da mettere in pratica è proprio quella di elaborare un preciso piano d’investimento farvi costante riferimento per tutte le decisioni di acquisto e di vendita. Quindi se per esempio decidiamo di investire metà del patrimonio in obbligazioni, e con il resto di creare un giardinetto (termine in gergo per indicare il portafoglio titoli) di almeno nove o dieci azioni differenziate per settore e per tipo, dobbiamo poi attenerci fermamente a questa strategia. E non lasciarci fuorviare dalle immancabili "soffiate" (di solito paragonate ad arte) sul titolo sottovalutato che sta per fare un boom spettacolare.
Terza regola: il limite del 10%. Per ripartire il rischio, ad esempio, gli esperti consigliano di non investire mai in un solo titolo più del 10% del capitale disponibile. E’ un suggerimento da seguire con costanza, se si vuole mantenere una equilibrata distribuzione della probabilità; anche se non vale a proteggere l’investitore da un crack e da un ribasso generalizzato della Borsa. Un secondo suggerimento, corollario del primo, è quello di evitare in ogni caso di tenere contemporaneamente in portafoglio più di dieci titoli, per non rischiare possibili confusioni. E’ bene infatti revisionare costantemente tutte le operazioni effettuate, per imparare dall’esperienza e (perché no?) anche degli errori commessi.
Quarta regola: preferite titoli facilmente liquidabili.
Quali azioni scegliere? E’ per tutti la domanda chiave. Ma non ci sono risposte valide per tutte le stagioni. Bisogna decidere caso per caso e momento per momento, tenendo presente alcune avvertenze fondamentali. Per esempio, è utile ricordare che i titoli a maggior flottante (cioè con una quota più elevata di capitale in mano a piccoli azionisti) sono in media più sicuri, come già accennato in precedenza, perché più facili da negoziare in Borsa dove c’è abbondanza di domanda e offerta. Infatti, la rapida liquidabilità dell’investimento garantisce un minor rischio perché in caso di ribasso delle quotazioni offre comunque all’acquirente la possibilità di trasformare di nuovo in contante il suo investimento in azioni. Mentre chi ha acquistato un titolo con scarso flottante rischia di non riuscire più a trovare un compratore, neanche a prezzo ribassato; in questo caso, nel gergo pittoresco della Borsa pieno di similitudini molto eloquenti, si dice che l’investitore "è rimasto col cerino acceso in mano", e che "si è scottato le dita". Ecco perché le cosiddette blue chips sono le azioni più ricercate: i volumi trattati giornalmente sono tali da assicurare in ogni momento un certo spessore del mercato. Si tratta di azioni delle imprese maggiori del paese, le più solide dal punto di vista patrimoniale, con quotazioni piuttosto stabili. Il loro andamento è quasi sempre in linea con il mercato, anche perché i maggiori indici di Borsa sono pesantemente condizionati dai prezzi delle azioni più importanti, che "fanno mercato". Basti pensare che nel 1993 i dieci titoli azionari più attivi hanno totalizzato da soli il 52% del controvalore totale degli scambi; e che le 30 azioni più scambiate hanno assorbito quasi il 75% del mercato. Viceversa sono ancora numerosi (circa il 40%) i titoli "sottili" (nel gergo degli addetti ai lavori significa azioni con scarso flottante, poco negoziate in Borsa) che non hanno raggiunto i 10 miliardi di controvalore totale annuo.
Quinta regola: scegliere bene il momento.
La quarta regola d’oro è in apparenza banale, ma in essa si cela il vero segreto del successo in Borsa: scegliere con cura il momento in cui si compera. Non lasciatevi prendere dall’entusiasmo e/o dall’impazienza del giocatore davanti al tavolo verde. Saper aspettare è la dote principale di ogni buon investitore. E’ alla scelta del tempo, più ancora che a quella del titolo, che si deve buona parte del guadagno o della perdita subita. Infatti un portafoglio composto da azioni scelte con i giusti criteri ma acquistate nel momento sbagliato, può dare cocenti delusioni. Così come, viceversa, inaspettate soddisfazioni possono giungere da azioni poco note e mai considerate prima tra le star del listino. Un proverbio ben conosciuto tra gli appassionati di corse di cavalli dice in sostanza che anche un brocco può avere il suo momento d’oro: tutto sta nell’indovinare quando arriverà. A questo punto vi domanderete: ma qual è davvero il momento giusto? Prima di comperare conviene sempre valutare la situazione generale dell’economia, e le previsioni a breve sull’andamento dei tassi d’interesse. Se si avvertono segnali di ripresa economica (i consumi aumentano, sale la richiesta di energia, crescono le importazioni di materie prime), allora si può ipotizzare una ripresa degli affari e dei profitti delle imprese industriali: è il momento di comperare. Analizzate l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi; scegliere titoli sottovalutati o comunque non sopravvalutati, e poi restate tranquilli ad aspettare, non preoccupatevi per le oscillazioni del mercato a breve termine (a meno di autentiche catastrofi): lasciate che il ciclo economico faccia il suo corso, e tempo sei mesi o un anno, quando le aziende cominceranno a distribuire utili, il valore delle azioni salirà. Sono le cosiddette recovery shares (azioni da ripresa) che si muovono in sintonia con il ciclo economico: tra queste, le azioni di società chimiche o dell’edilizia, dell’automobile e della meccanica leggera, oppure i titoli della grande distribuzione. Sono invece di solito anticicliche - e quindi da acquistare nei periodi di bassa congiuntura - le azioni di società alimentari e delle compagnie d’assicurazioni. Naturalmente, questo ragionamento non vale qualora una di queste società stia attraversando un suo particolare momento di difficoltà, nel qual caso la quotazione sarà influenzata assai più dalle vicende della singola azienda che da quelle generali dell’economia.
Sesta regola: occhio ai tassi d’interesse Il tasso d’interesse è un prezzo, determinato dall’incontro fra la domanda e l’offerta di credito; l’una e l’altra dipendono direttamente dalla fiducia che sia il creditore (offerente) sia l’investitore (che prende a prestito capitale di rischio) hanno nel futuro sviluppo delle rispettive imprese. Ma il tasso d’interesse - e in particolare quello a breve termine, cioè a tre, sei o dodici mesi - oltre a essere un importante elemento di previsione del ciclo economico, ha riflessi immediati sulla domanda e offerta di azioni in Borsa. Infatti, se i tassi a breve scendono vi è un traverso della domanda dalle obbligazioni (che diventano meno convenienti) alle azioni, e le quotazioni azionari salgono; viceversa se i tassi salgono vi sarà, per il motivo inverso (traverso della domanda dalle azioni alle obbligazioni), un calo delle quotazioni azionarie. Al di là di queste indicazioni estremamente sommarie non possiamo spingerci in questa breve rassegna; d’altronde i fattori che influiscono sui mercati azionari sono talmente numerosi e complessi da dar luogo anche a studi matematici ed a elaborazioni grafiche estremamente complesse.
Gli errori si pagano. L’importante, per l’investitore non esperto, è non lasciarsi prendere dalla frenesia di operare in Borsa. Quando non si intravedono movimenti chiari e significativi conviene stare fermi e non fare mosse azzardate; perché il meno che possa capitare, oltre ad andare incontro a spese inutili, è di immobilizzare il proprio capitale per lungo tempo in maniera infruttifera.
Settima regola: tagliare in tempo le perdite La sesta regola dovrebbe essere in realtà la prima, talmente è fondamentale per chi si arrischia a gestire direttamente il proprio portafoglio titoli. Pur essendo semplice da enunciare, è anche una delle più disattese. Consiste semplicemente nel tagliare le perdite - liquidando rapidamente le azioni in caso di ribasso delle quotazioni - e lasciar correre i profitti. Sembra facile, non è vero? Peccato che la maggior parte degli operatori di Borsa non professionali tenda a fare esattamente il contrario: se l’azione perde, aspetta a liquidarla nella speranza di un recupero che non arriva quasi mai; se la quotazione sale, si affretta a vendere per incassare gli utili, nel timore di veder sfumare un’opportunità di guadagno. Il primo è un errore capitale, che può portare in poco tempo l’investitore alla rovina; mentre il secondo fa perdere dei quattrini che, forse, con un po’ di pazienza, si sarebbero potuti guadagnare. Per evitare di cadere nel primo tipo di errore, quello di gran lunga più grave, un sistema però c’è: è il metodo detto degli stop-loss (in italiano si potrebbe tradurre: “blocca-perdite”). Consiste semplicemente nello stabilire con decisione irrevocabile la perdita massima che si è disposti a subire in caso di calo delle quotazioni di un determinato titolo (sia che si tratti di una operazione sbagliata o di un crollo improvviso e inaspettato dell’intero listino), e attenersi poi scrupolosamente a quella decisione. Quando una quotazione raggiunge, per esempio, il 15% di perdita, bisogna vendere immediatamente tutte le azioni, senza ripensamenti. Se la caduta si rivelerà solo temporanea, e se il titolo dovesse risalire subito dopo, potete sempre ricomperarlo sul mercato; ma in caso contrario, lo stop-loss vi avrà fatto risparmiare un brutto scivolone. Chi investe pianificando i propri acquisti in Borsa con l’ausilio del computer ed esegue giorno per giorno l’andamento di un portafoglio diversificato di titoli, ha di solito gli stop-loss già incorporati nel programma come se fossero degli allarmi di pericolo imminente: delle spie luminose che lampeggiano lungo il percorso dei propri investimenti, per mettere in guardia il risparmiatore. La tecnica dello stop-loss impone di agire con freddezza e determinazione da professionista, ma permette di gestire il proprio portafoglio con maggiore serenità. Il 15% può apparire una percentuale bassa, e quindi troppo prudente: in effetti, molto dipende dalla natura del titolo e dai veri motivi del caso di quotazione (che il risparmiatore spesso non conosce). Tuttavia bisogna tenere a mente che più a lungo si aspetta, maggiore è la perdita da recuperare; perché oltre al ribasso della quotazione, supponiamo del 15% o 30%, bisogna anche recuperare il mancato guadagno dovuto all’immobilizzo infruttifero del capitale per tutto il periodo in cui l’azione non ha prodotto utili. Tuttavia, una volta accettato il principio dello stop-loss, la regola del 15% va applicata con intelligenza: può capitare che un’azione, dopo alcune settimane di crescita ininterrotta della quotazione, attraversi un breve periodo di assestamento magari perché alcuni investitori istituzionali hanno deciso di incassare gli utili. Insomma, applicando la regola del 15% in modo rigido si rischia di vendere proprio alla vigilia di una ripresa. Occorre, invece, ragionare caso per caso ed effettuare un’attenta analisi del titolo la cui quotazione sta dando segni di cedimento: alla minima conferma del trend negativo, vendere subito.
Ottava regola: non scommettere controtendenza Altra regola fondamentale, ben conosciuta dai professionisti di Borsa come la precedente, è che bisogna approcciare il mercato cercando di capire dove sta andando, e non presumendo che andrà dove diciamo noi. Statisticamente, è molto più difficile individuare in anticipo un’inversione di tendenza che si inserisca in un trend già in atto. Vi sono, è vero, taluni segni premonitori che anticipano il momento in cui la quotazione di un titolo finora in fase di rialzo comincia a scendere: uno dei segnali più significativi è un robusto calo dei volumi trattati quotidianamente, accompagnato da un forte rallentamento nella crescita dei prezzi. Ma per cogliere con tempestività questi segnali e saperli interpretare nel modo giusto ci vuole una certa esperienza, sono valutazioni che è meglio lasciar fare agli operatori che già conoscono il mercato. Il consiglio per l’investitore occasionale è di non inseguire il "colpo grosso", andando controtendenza: anche se questa è una tentazione che prima o poi viene a tutti, è meglio non cedere. Nella maggior parte dei casi il rischio non vale la candela. Molto meglio, allora, inserirsi nella tendenza primaria in atto sfruttando le opportunità offerte quotidianamente dal mercato.
Nona regola: essere costantemente informati Ricordate la regola numero uno? L’importante, abbiamo detto, è elaborare un preciso piano d’investimento e farvi costante riferimento per tutte le decisioni di acquisto e di vendita. Ma seguire un piano non significa ignorare tutto ciò che accade intorno a voi. La Borsa è un mercato fortemente reattivo agli avvenimenti dell’economia e spesso anche della politica, sia italiani sia - in modo sempre crescente - internazionali. Il risparmiatore deve quindi tenersi costantemente informato su quello che succede nel paese e fuori; e saper valutare gli avvenimenti che potranno avere influenza sia sull’andamento generale della Borsa, sia su quello dei suoi titoli in particolare. Un calo alla Borsa di New York o in altre Borse estere può avere ripercussioni in Italia; il naufragio di una petroliera o l’esplosione di un impianto chimico possono mettere in difficoltà la compagnia di assicurazioni o l’impresa petrolchimica su cui si è scommesso una parte del periodo capitale. Con il tempo e l’esperienza si sviluppa un vero e proprio fiuto nello scovare notizie di questo tipo, che è una delle caratteristiche del buon consulente di Borsa. I mass media ( e in particolare quelli specializzati in economia come i quotidiani Il Sole 24 Ore e mercati finanziari nonché il settimanale Il Mondo) sono la fonte più indicata per essere tempestivamente informati di tutti questi avvenimenti, e di quant’altro è necessario sapere per un investitore (indici di Borsa, novità legislative, dati macroeconomici, e così via).
Decima regola: attenti all’insider trading Da ultimo, dopo aver illustrato le più importanti regole di comportamento per gli investitori, è doveroso lanciare un avvertimento. Abbiamo già accennato alle insidie che si celano dietro le cosiddette “voci” che circolano in Borsa: un fenomeno non solo italiano, ma che si ripete in tutti i mercati finanziari del mondo. In alcuni casi, però, non si tratta solo di dicerie o suggerimenti inventati, magari per assecondare le manovre di qualche speculatore. La legge americana, quella inglese e da tempi più recente anche quella italiana, considerano reato penale la divulgazione e l’utilizzo di informazioni riservate da parte di chi potrebbe trarne indebito profitto. Il reato in questioni si chiama infatti, con un’espressione di origine anglosassone, insider trading: consiste nell’attività di chi sfrutta informazioni riservate di cui è venuto in possesso nell’esercizio delle sue funzioni (amministratore, manager, banchiere, giornalista) cercando di trarne vantaggio nelle transazioni di valori mobiliari, a danno di altri risparmiatori che non detengono tali informazioni. L’insider trading è diventato illecito in Italia con la legge numero 157 del 7 maggio 1991 che vieta acquistare, vendere o compiere altre operazioni, anche per interposta persona, quando si posseggano informazioni riservate ottenute in virtù della partecipazione diretta o indiretta al capitale di una società, oppure in ragione dell’esercizio di una funzione pubblica, professione o ufficio. Quando si parla di informazioni riservate non divulgabili a terzi, la legge non intende qualsiasi genere di informazioni ma solo quelle che, ove venissero rese pubbliche, potrebbero modificare le quotazioni dei titoli della società in Borsa. Questa caratteristica deve essere evidente nel momento in cui l’informazione è resa pubblica, e non semplicemente deducibile attraverso un’analisi fatta in un momento successivo.
La legge, inoltre, sottopone a sanzione penale:
la diffusione a terzi, senza giustificato motivo, di informazioni riservate;
la divulgazione di notizie false, esagerate o tendenziose, ovvero l’effettuare operazioni simulate, allo scopo di influenzare il prezzo di titoli quotati (non è necessario che si riesca, basta il solo tentativo). Per questi motivi è vietato agli azionisti che controllano la società, agli amministratori, ai sindaci, ai direttori generali e ai dirigenti, di compiere operazioni dopo la convocazione del consiglio di amministrazione.
Soffiate pericolose. Si può violare la legge anche senza trarne un guadagno personale. E’ infatti reato anche semplicemente quello del dipendente della società che, senza approfittarne egli stesso, consiglia a terzi, sulla base di informazioni riservate, di acquistare o vendere azioni. Mentre chi effettua operazioni in Borsa sulla base di quelle informazioni rischia di essere considerato complice.